Pitture e artisti |
ANNO: 1100 1300 1400 1500 1600 1700 1800 1900
Nei secoli XIII e XIV si sviluppa nel nord Europa l'arte gotica.
Il termine
gotico verrà tuttavia coniato solo nel 1500 con un'accezione negativa: significava
infatti, “barbaro”.
Il verticalismo accentuato dell'architettura ed
il forte senso drammatico delle rappresentazioni nordiche furono nel
Cinquecento assai criticate: solo quella della tarda romanità era
considerata vera arte. Infatti in Italia, il grande slancio verticale
dello stile gotico,
sarà molto contenuto. La radicata tradizione
costruttiva di Roma,
basata sul laterizio e la pietra, aveva sviluppato una
sensibilità particolare per la superficie continua ed il volume compatto.
Nel 1300 si afferma completamente la borghesia cittadina e le opere d'arte
non sono più commissionate solo dalla Chiesa e realizzate con le
ricchezze dei nobili; anche i ricchi cittadini borghesi costruiscono
edifici religiosi e commissionano opere pubbliche che determinano il nuovo
volto delle città.
All'interno delle Arti si associano varie botteghe
artigiane nelle quali emerge una nuova figura, quella del maestro, che
sceglie le committenze e cura personalmente l'aspetto economico del lavoro.
Egli inoltre non ha sotto di sé un gruppo di semplici operai, ma avvia una
scuola di discepoli che apprendono e diffondono il suo stile espressivo.
Uno dei più grandi maestri del Trecento è
Giotto
che si circonda di allievi, ai quali affida l'esecuzione delle parti di
secondaria importanza nei suoi dipinti. Egli è un'artista nel senso
moderno della parola e il suo modo di esprimersi non è sottoposto
rigidamente solo alle indicazioni che provengono dall'autorità
religiosa o civile, ma risponde soprattutto a scelte personali.
Se fino a
tutto il Duecento le immagini servivano a far conoscere ciò che il popolo
analfabeta non poteva leggere, a partire dalla pittura di
Giotto
questa finalità non è più quella prevalente. Il linguaggio delle
immagini non è solo un mezzo per tradurre le parole in figure, le
superfici, le forme, i colori, la luce e lo spazio hanno valore
indipendentemente da ciò che rappresentano. Le immagini non hanno più il
ruolo di sostegno e chiarificazione di un testo scritto ma costituiscono
ormai un linguaggio autonomo.
Nella seconda metà del Duecento l'influenza
bizantina sulla pittura è ancora notevole; la linea che disegna le figure
diviene però più ondulata e gli spazi tra linea e linea sono differenziati
non solo dal colore, ma anche da diverse luminosità. Le figure acquistano
così il senso del volume ed un maggiore realismo. Attraverso l'affresco,
che diviene la tecnica tipica di questo periodo assieme alla pittura su
tavola, la narrazione di storie sacre raggiunge livelli di altissima
esecuzione. La tradizione delle croci e tavole dipinte continua ad
affermarsi in tutta l'Italia centrale. La rappresentazione della
Madonna in trono, fra Angeli e Santi, detta «Maestà», diviene ricca e
complessa: la tavola è suddivisa in scomparti da elementi architettonici
che ripetono gli schemi delle facciate e delle finestre gotiche. Tale
composizione viene definita trittico, se divisa in tre scomparti,
polittico, se divisa in numero maggiore di tre.
Anche in pittura si
formano vere e proprie scuole: nell'Italia centrale assai attiva è la
scuola romana, nella quale spiccano le personalità di Jacopo Torriti e
Pietro Cavallini. La pittura più rappresentativa di questo periodo viene
però elaborata nell'ambito della scuola senese e della scuola
fiorentina.
Capo scuola della pittura senese è Duccio di Buoninsegna, la
cui opera è caratterizzata da una grande raffinatezza di esecuzione: le
immagini aggraziate, accurate nella definizione dei particolari e
costruite attraverso la linea ed il colore diventeranno tipiche della
tradizione senese.
Nel Trecento Simone Martini e, dopo di lui,
Pietro e
Ambrogio Lorenzetti, sono pittori rinomati per la ricchezza decorativa
delle loro immagini. Lo spirito cavalleresco e profano si riflette nelle
scene sacre: i Santi, vestiti con i ricchi costumi dell'epoca, circondano
Maria che riceve doni dagli Angeli, inginocchiati ai lati del suo trono come
paggi di fronte ad una dama. Il gusto per la decorazione e l'attenzione per
gli elementi di tipo naturalistico riflettono gli influssi della miniatura
gotica francese; gli artisti, da Siena, sono infatti chiamati a lavorare
presso la corte papale ad Avignone, dove è stata trasferita la sede pontificia.
Il caposcuola dei pittori fiorentini è Cenni di Pepo, detto
Cimabue.
Nel crocifisso di Arezzo e nella Madonna di Santa Trinità, a
Firenze, le
sue figure sono vigorose e cariche di umanità; la composizione è
monumentale. Sono evidenti i legami con la scuola pisana di scultura e con
quella romana di pittura. La ricerca di una forte espressività appare
anche negli affreschi della chiesa Superiore di Assisi, purtroppo oggi
molto rovinati. La scena della Crocifissione, che appare annerita nelle
parti luminose, quasi fosse un'immagine in negativo, conserva tuttavia
intatta la sua potenza: la figura di Cristo, inarcata sulla Croce e con le
vesti scosse dal vento, è circondata da Angeli le cui ali si agitano
nello spazio, mentre in basso la schiera dei seguaci protende le braccia
verso Cristo, accentuando la dinamicità della composizione. La
rappresentazione del volume, del movimento e dell'espressività delle
figure verrà ripresa e sviluppata nelle opere di un grandissimo artista
del Trecento: Giotto che
abbandona quasi completamente il fondo d’oro. Nelle sue pitture lo
spazio in profondità viene rappresentato attraverso la prospettiva degli
elementi architettonici e lo scorcio delle figure. La linea che disegna i
contorni è scomparsa e le forme si distaccano l’una dall'altra per
contrasti di colore. Con Giotto la pittura a tinte piatte, tipica dell'arte
bizantina viene completamente abbandonata e le figure esprimono le loro emozioni umane.