Pitture e artisti |
Articolo del critico d'arte Dott.
Sergio Pesce
Parlare oppure scrivere sulla 56a Esposizione Internazionale d'Arte
può diventare un accurato strumento conoscitivo per approfondire come gli
artisti, i pensatori e gli scrittori creino, pensino o scrivano con lo
scopo
di indagare il senso del nostro tempo. Il senso critico di chi percepisce o al
contrario decide di ignorare tali risultati, arricchisce di volta in volta il
tema della discussione alimentando tesi. In questo modo si arricchisce quell'Iperuranio
di idee che consta la presenza, ormai desueta, di giudizi diversi, frutto
evidentemente di visioni non omogenee circa l'idea di arte e comunque sia
accettate. Atteggiamenti dissimili derivati da punti di vista che convergono
solo se li consideriamo “frutti” della stessa “radice”, ossia l'arte
contemporanea, e in particolar modo la sua esposizione in un “palco”
internazionale come la Biennale Arte di Venezia.
Quella di quest'anno verrà ricordata non solo per il centoventesimo anniversario
dalla prima Esposizione (1895), ma per la sua capacità di far fluire il pensiero
dipendente dalla visione delle opere e dai concetti espressi nei padiglioni. La
ramificazione che potremo intendere a “macchia di leopardo” parte, come di
consueto dalle due sedi; quelle dei Giardini e dell'Arsenale per poi espandersi
in tutta la città di Venezia. Un processo intellettuale intenso che deve la sua
origine alla ponderata fusione mediata dalla scelta degli artisti e quindi delle
opere, in concerto con il tema legato essenzialmente all'oggettività dei tre
filtri Garden of Disorder, Liveness; On Epic Duration e Reading Capital,
sapientemente orchestrati dal curatore Okwul Enwezor.
L'intreccio
dei temi si legano alle peculiarità e quindi all'azione soggettivante di chi
elabora il concetto, riuscendo a generare un secondo livello di interpretazioni
che possiamo agevolmente dividere nelle considerazioni relative allo stato delle
cose in opposizione all'apparenza delle stesse. L'esposizione di tematiche
umanitarie ha inteso risvegliare la coscienza del singolo trasformando l'artista
in un mediatore tra l'informazione e la capacità di poterla esprimere. Sfere
concettuali che eludono la domanda sul committente, facendoci percepire un
assoluto protagonismo del pubblico che dovrà riflettere sul titolo della
manifestazione All the World's Futures. Una ingerenza richiesta che maschera noi
stessi come i committenti consegnando un ruolo agli artisti che pareva avessero
perso o semplicemente dimenticato.
Nei padiglioni nazionali e negli eventi collaterali Around Town questa voluta
partecipazione non perde la sua forza, anzi, aiutata dal contesto della città
lagunare emerge grazie ad un falsa dissonanza con i palazzi che li ospitano.
Edifici storici posti anche in zone remote della città, (ossia al di fuori del
normale giro
turistico conosciuto dal turista medio) partecipano a quell'oggettività del tema
trasformando l'esperienza della visita in un complessa struttura di relazioni
che impongono sin da subito il rapporto tra un palazzo storico (apparenza) nel
padiglione nazionale di arte contemporanea (stato delle cose). In questa ottica
risulta vincente il Padiglione della Nuova Zelanda sito nelle sale monumentali
Biblioteca Nazionale Marciana, intitolato Secret Power. Attraversando il
Vestibolo che accoglie il Museo Statuario della Repubblica si accede al Salone,
ove si mostrano i progetti artistici di Simon Denny che intendono esplorare
l'evoluzione e l'obsolescenza tecnologica della cultura aziendale e di internet.
Temi opposti (tra contenitore e contenuto) ma che ben si concatenano grazie al
rispettoso atteggiamento dell'allestimento scelto.
Questa continua ricerca dell'intreccio concettuale lo troviamo anche nel
Padiglione del Guatemala, presso l'Officina delle Zattere, ove artisti
guatemaltechi e italiani si concentrano sull'esorcizzazione della morte, da qui
il titolo Sweet Death. Nonostante qualche scadenza nel Kitsch c'è da premiare
l'intento dell'esposizione che si svolge attraverso sovrapposizioni ed
interazioni tra le due culture; gli italiani accolgono (nelle loro soluzioni) i
colori variopinti delle tombe guatemalteche, mentre gli artisti del Guatemala
decidono di offrire al pubblico un'arte influenzata dal colonialismo. Da
sottolineare l'installazione (in movimento) Charlie di Simona Bertolelli che
ricorda le vittime dell'attentato presso la redazione di Charlie Hebdo.
Una riuscita armonia è quella che si configura nel Padiglione dell'Iran in Calle
San Giovanni che si suddivide in due progetti distinti; Iranian Highlights
incentrato sulle dinamiche della globalizzazione sviluppate attraverso la
visione dei quattro artisti più rappresentativi della cultura iraniana, e The
Great Game ove troviamo esposte le opere di cinquanta artisti provenienti anche
dall'India, dall'Afghanistan e dall'Iraq concentrati nel problema comune di
vivere in una zona di crisi costante. A colpire è senza dubbio la scultura
realizzata da un apparente disordine strutturale composto da un ammasso di
parallelepipedi metallici fortemente retroilluminati. Un disorganizzazione
formale che in verità, lasciandosi trapassare dalla luce, proietta sul muro
frontale la scritta Try to Save. Un ulteriore esempio di come l'intreccio del
tema venga elaborato soggettivamente attraverso l'oggettività di partenza.
Il complesso gioco di relazioni concettuali si rinnova anche nell'espressione
del movimento, andando ad evidenziare le coordinate dello stesso, esemplificano
i vari punti di vista derivati, e magistralmente riassunti nel titolo
dell'evento collaterale My East is Your West presso Palazzo Benzon. Qui si
indaga principalmente sul tema di posizione e dislocazione attraverso video
installazioni e opere a stampa, lasciando che la propria pulsione della
percezione si confonda nella registrazione in remoto che proietta su una
superficie grande quanto la parete osservata e con qualche secondo di ritardo,
la nostra immagine colta mentre osserviamo le opere.
La Biennale Around Town sottolinea come la formulazione del problema, ossia il
senso del nostro tempo, si tramuti in una domanda che richiede una risposta
nella percezione delle opere. Messaggio intellettualmente immagazzinato in
maniera diversa dai vari spettatori che in base alla loro sensibilità, alla loro
conoscenza della tradizione artistica e dei testi critici potrà efficacemente
pretendere di interagire con la struttura; a patto che abbia sapientemente
escluso i suoi pregiudizi.
Dott. Sergio Pesce