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Biennale di Venezia

Biennale Arte Venezia 'Arsenale'

Il padiglione Arsenale conferma le linee concettuali che hanno guidato il curatore Okwul Enwezor ai 'Giardini'

Il critico d'arte Dott. Sergio Pesce
Articolo del critico d'arte Dott. Sergio Pesce

Proseguendo in questa analisi critica sulla Biennale di Venezia (All The World's Futures) si confermano, Adrian Piper - Leone d'oro Biennale Venezia 2015anche nel secondo spazio espositivo presso l'Arsenale, le linee concettuali che hanno guidato l'agire del curatore Okwul Enwezor nel Padiglione Centrale ai Giardini. Un'operazione che certo ha dovuto tener presente la forte presenza di opere, centodieci, divise in undici sale. Un'amplificazione che difficilmente si accorda alla volontà, spesso dimenticata o semplicemente sottovalutata, di voler contemplare o riflettere su quanto si sta vedendo. All'imponente struttura così ideata e realizzata vanno aggiunti anche i diciannove Padiglioni adiacenti. Per tali ragioni lo spettatore dovrà sforzarsi di non perdere la concentrazione, perché al di là di una mancata ponderazione relazionale, legata essenzialmente al numero di opere proposte, il valore delle stesse è nella maggior parte dei casi di assoluto interesse. Qui (e The Probable Trust Registry: The Rules of the Game #1-3non solo al Padiglione Centrale dei Giardini come riportava il catalogo ufficiale) troviamo Adrian Piper che con la sua installazione The Probable Trust Registry: The Rules of the Game #1–3 ha vinto il Leone d'oro quale miglior artista di questa edizione. Anche il Leone d'argento, premio che individua un promettente giovane artista, ha trovato presso l'Arsenale il suo vincitore ossia IM Hueng-Soon con il suo lungometraggio Factory Complex. Proseguendo con le tre menzioni speciali assegnate dalla Giuria, registriamo Harun Farocky, Massinissa Selmani e il Collettivo Abounaddara, i quali hanno esposto o sono stati esposti (come nel caso di Harun Farocky) alle Corderie e al Giardino delle Vergini sempre all'Arsenale.
Consci del fatto che non si può spiegare criticamente la Biennale attraverso la sola assegnazione dei premi, resta singolare la celebrazione che si è voluta dedicare a questa seconda sede espositiva.
Merita senza dubbio un forte plauso l'opera di Pino Pascali, colui che fu considerato uno dei più promettenti artisti dell'Arte Povera Italiana e scomparso nel 1968. La presenza del suo celebrato Cannone Semovente, fa riferimento ad un'arma formalmente verosimile che intende sovvertirne la funzione introducendo il concetto di finzione mimetica tra ciò che percepiamo e ciò che realmente vediamo. L'opera non può sparare perché composta da pezzi d'auto e oggetti di scarto successivamente dipinti di verde mimetico. Il rapporto tra realtà e Katharina Grosseillusione prosegue attraverso la manifestazione della tensione coloristica nella grande installazione dell'artista tedesca Katharina Grosse. L'inclusione di tessuti sui quali trovano spazio blocchi di polistirolo, permettono la creazione di una sorta di paesaggio lunare arricchito dal pigmento colorato.
Theaster Gates con la sua installazione Gone are the days of Shelter and Martyr sottolinea ancora una volta la poca attenzione che l'uomo contemporaneo dedica agli spazi pubblici. La sua opera si compone dei resti di quella che fu la chiesa cattolica di St Laurence a Chicago, ormai demolita. Nell'osservare la campana, la statua in cemento del santo ed i frammenti dell'organo, si entra in quella dimensione che ben si accorda con il Padiglione di Israele che intendeva farci riflettere sul titolo Archeology of the Present.
Un'ulteriore dimensione che ha inteso trattare questa Biennale, intitolata All The World's Futures, è quella della guerra. Almeno tre sono gli artisti che hanno saputo trattare l'argomento con sottile e apprezzabile intelligenza. Il primo di questi è Hiwa K, nato nel Kurdistan iracheno. La sua opera The Bell è stata realizzata attraverso la fusione di varie armi trovate sul suolo iracheno. Le sue intenzionalità hanno inteso sovvertire la pratica, storicamente accertata, di fondere campane per produrre armi. Il secondo artista è in verità un gruppo, The Propeller Group, fondato da Tuan Andrew Nguyen e Phunam Thuc entrambi nati The Proppeller Group 2a Saigon. Con la loro opera A Universe of Collisions hanno analizzato le armi simbolo della guerra fredda; il fucile d'assalto M16 e l'AK-47 meglio conosciuto con il nome di Kalašnikov. Il progetto ha inteso anteporre le due armi in modo che la prima mirasse sulla seconda, con lo scopo di far scontrare le due pallottole affinché si potessero fondere in un unico oggetto. Il risultato è presente in un blocco di gel balistico. Un video fortemente rallentato e posto alle spalle dell'opera, ci permette di osservare l'esplosione e la fusione. Una modalità di concetto che de-funzionalizza l'arma per tentare un dialogo. Il terzo artista è Gonçalo Mabunda nato a Maputo in Mozambico. Le sue azioni si spingono a creare troni composti da armi e accessori militari. Si tratta di strumenti di guerra lasciati nei campi del conflitto civile che colpì il suo paese. Le sue opere simboleggiano il potere di comando che si poggia su materiale corroso e non funzionante.
Le due installazioni di Jason Moran, noto compositore statunitense, riproducono architettonicamente alcuni frammenti di due locali Jazz; il Savoy Ballroom e il Three Deuces Club entrambi a New York. Particolari che intendono ricordare la loro attività lungo il periodo delle leggi razziali. Rimembranze di spazi che davano vita ad intense relazioni sociali attraverso la comune propensione del pubblico verso la musica Jazz.
Jason MoranL'installazione del leone d'oro The Probable Trust Registry frammenta il nostro tempo di osservazione in tre sezioni tra loro legate da un comune senso di appartenenza all'ambiente aziendale. Alle spalle di tre scrivanie circolari si leggono altrettante frasi che intendono ricostruire l'Io dell'uomo e della donna contemporanea sempre più propensi all'oggettivazione. A questo punto lo spettatore condividendo il pensiero di anche una sola delle tre asserzioni ( I will always be too expensive to buy, I will always mean what I say, I will always do what I am going to do) può stipulare un contratto attraverso i supporti informatici messi a disposizione dell'artista. Così facendo il documento viene fotocopiato lasciando il file in memoria presso l'archivio APRA (Adrian Piper Research Archive) a Berlino.
Risulta interessante anche l'opera di Rirkrit Tiravanija, Untitled 2015 (14,086). Il numero tra parentesi si riferisce alla quantità di mattoni necessari per costruire una piccola casa cinese. Sopra ad ognuno di essi è stato fatto incidere la parola 别干了che significa “non lavorate più” riprendendo lo slogan dei Situazionisti, immaginando una società dove il lavoro e il non lavoro non siano più distinguibili. La metafora della costruzione si lega alla volontà di distribuire gli stessi al pubblico. In questo modo la piccola casa si trasforma in una comunità di persone che ne possiede una parte.
                                                                           Dott. Sergio Pesce