Pitture e artisti |
Articolo del critico d'arte Dott.
Sergio Pesce
Proseguendo in questa analisi critica sulla Biennale di Venezia (All The World's
Futures) si confermano,
anche
nel secondo spazio espositivo presso l'Arsenale, le linee concettuali che hanno
guidato l'agire del curatore Okwul Enwezor nel Padiglione Centrale ai Giardini.
Un'operazione che certo ha dovuto tener presente la forte presenza di opere,
centodieci, divise in undici sale. Un'amplificazione che difficilmente si
accorda alla volontà, spesso dimenticata o semplicemente sottovalutata, di voler
contemplare o riflettere su quanto si sta vedendo. All'imponente struttura così
ideata e realizzata vanno aggiunti anche i diciannove Padiglioni adiacenti. Per
tali ragioni lo spettatore dovrà sforzarsi di non perdere la concentrazione,
perché al di là di una mancata ponderazione relazionale, legata
essenzialmente al numero di opere proposte, il valore delle stesse è nella
maggior parte dei casi di assoluto interesse. Qui (e
non solo al Padiglione
Centrale dei Giardini come riportava il catalogo ufficiale) troviamo Adrian
Piper che con la sua installazione The Probable Trust Registry: The Rules of the
Game #1–3 ha vinto il Leone d'oro quale miglior artista di questa edizione.
Anche il Leone d'argento, premio che individua un promettente giovane artista,
ha trovato presso l'Arsenale il suo vincitore ossia IM Hueng-Soon con il suo
lungometraggio Factory Complex. Proseguendo con le tre menzioni speciali
assegnate dalla Giuria, registriamo Harun Farocky, Massinissa Selmani e il
Collettivo Abounaddara, i quali hanno esposto o sono stati esposti (come nel
caso di Harun Farocky) alle Corderie e al Giardino delle Vergini sempre
all'Arsenale.
Consci del fatto che non si può spiegare criticamente la Biennale attraverso la
sola assegnazione dei premi, resta singolare la celebrazione che si è voluta
dedicare a questa seconda sede espositiva.
Merita senza dubbio un forte plauso l'opera di Pino Pascali, colui che fu
considerato uno dei più promettenti artisti dell'Arte Povera Italiana e
scomparso nel 1968. La presenza del suo celebrato Cannone Semovente, fa
riferimento ad un'arma formalmente verosimile che intende sovvertirne la
funzione introducendo il concetto di finzione mimetica tra ciò che percepiamo e
ciò che realmente vediamo. L'opera non può sparare perché composta da pezzi
d'auto e oggetti di scarto successivamente dipinti di verde mimetico. Il
rapporto tra realtà e
illusione prosegue attraverso la manifestazione della
tensione coloristica nella grande installazione dell'artista tedesca Katharina
Grosse. L'inclusione di tessuti sui quali trovano spazio blocchi di polistirolo,
permettono la creazione di una sorta di paesaggio lunare arricchito dal pigmento
colorato.
Theaster Gates con la sua installazione Gone are the days of Shelter and Martyr
sottolinea ancora una volta la poca attenzione che l'uomo contemporaneo dedica
agli spazi pubblici. La sua opera si compone dei resti di quella che fu la
chiesa cattolica di St Laurence a Chicago, ormai demolita. Nell'osservare la
campana, la statua in cemento del santo ed i frammenti dell'organo, si entra in
quella dimensione che ben si accorda con il Padiglione di Israele che intendeva
farci riflettere sul titolo Archeology of the Present.
Un'ulteriore dimensione che ha inteso trattare questa Biennale, intitolata All
The World's Futures, è quella della guerra. Almeno tre sono gli artisti che
hanno saputo trattare l'argomento con sottile e apprezzabile intelligenza. Il
primo di questi è Hiwa K, nato nel Kurdistan iracheno. La sua opera The Bell è
stata realizzata attraverso la fusione di varie armi trovate sul suolo iracheno.
Le sue intenzionalità hanno inteso sovvertire la pratica, storicamente
accertata, di fondere campane per produrre armi. Il secondo artista è in verità
un gruppo, The Propeller Group, fondato da Tuan Andrew Nguyen e Phunam Thuc
entrambi nati
a Saigon. Con la loro opera A Universe of Collisions hanno
analizzato le armi simbolo della guerra fredda; il fucile d'assalto M16 e
l'AK-47 meglio conosciuto con il nome di Kalašnikov. Il progetto ha inteso
anteporre le due armi in modo che la prima mirasse sulla seconda, con lo scopo
di far scontrare le due pallottole affinché si potessero fondere in un unico
oggetto. Il risultato è presente in un blocco di gel balistico. Un video
fortemente rallentato e posto alle spalle dell'opera, ci permette di osservare
l'esplosione e la fusione. Una modalità di concetto che de-funzionalizza l'arma
per tentare un dialogo. Il terzo artista è Gonçalo Mabunda nato a Maputo in
Mozambico. Le sue azioni si spingono a creare troni composti da armi e accessori
militari. Si tratta di strumenti di guerra lasciati nei campi del conflitto
civile che colpì il suo paese. Le sue opere simboleggiano il potere di comando
che si poggia su materiale corroso e non funzionante.
Le due installazioni di Jason Moran, noto compositore statunitense, riproducono
architettonicamente alcuni frammenti di due locali Jazz; il Savoy Ballroom e il
Three Deuces Club entrambi a New York. Particolari che intendono ricordare la
loro attività lungo il periodo delle leggi razziali. Rimembranze di spazi che
davano vita ad intense relazioni sociali attraverso la comune propensione del
pubblico verso la musica Jazz.
L'installazione del leone d'oro The Probable Trust Registry frammenta il nostro
tempo di osservazione in tre sezioni tra loro legate da un comune senso di
appartenenza all'ambiente aziendale. Alle spalle di tre scrivanie circolari si
leggono altrettante frasi che intendono ricostruire l'Io dell'uomo e della donna
contemporanea sempre più propensi all'oggettivazione. A questo punto lo
spettatore condividendo il pensiero di anche una sola delle tre asserzioni ( I
will always be too expensive to buy, I will always mean what I say, I will
always do what I am going to do) può stipulare un contratto attraverso i
supporti informatici messi a disposizione dell'artista. Così facendo il
documento viene fotocopiato lasciando il file in memoria presso l'archivio APRA
(Adrian Piper Research Archive) a Berlino.
Risulta interessante anche l'opera di Rirkrit Tiravanija, Untitled 2015
(14,086). Il numero tra parentesi si riferisce alla quantità di mattoni
necessari per costruire una piccola casa cinese. Sopra ad ognuno di essi è stato
fatto incidere la parola 别干了che significa “non lavorate più” riprendendo lo
slogan dei Situazionisti, immaginando una società dove il lavoro e il non lavoro
non siano più distinguibili. La metafora della costruzione si lega alla volontà
di distribuire gli stessi al pubblico. In questo modo la piccola casa si
trasforma in una comunità di persone che ne possiede una parte.
Dott. Sergio Pesce